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Accordi Israele - Hamas, punto di partenza e non di arrivo

Riccardo Cascioli - BastaBugie.it

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Episode  ·  13:54  ·  Oct 14, 2025

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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/8324ACCORDI ISRAELE-HAMAS, PUNTO DI PARTENZA E NON DI ARRIVO di Riccardo Cascioli A scorno dei suoi detrattori, bisogna dare atto al presidente americano Donald Trump di essere il principale protagonista dell'accordo Israele-Hamas su cui fino a pochi giorni fa nessuno avrebbe scommesso. Si capisce quindi la sua aspirazione a ricevere il Premio Nobel per la Pace, malgrado le scelte degli ultimi decenni abbiano decisamente svalutato il significato di questo premio.Ma sarebbe ben triste se il giorno dei festeggiamenti in Israele e a Gaza (nella foto LaPresse) per il cessate il fuoco l'attenzione si spostasse dalla situazione in Medio Oriente ai desideri - vedremo se soddisfatti - di Trump.In ogni caso l'accordo - raggiunto anche grazie alla collaborazione di Egitto, Qatar e Turchia, a cui Trump ha riconosciuto il credito - non va considerato un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Non solo perché lo scambio di prigionieri e il cessate il fuoco sono soltanto i primi punti del Piano di pace annunciato la settimana scorsa da Trump, a cui ne dovranno seguire altri, più complicati da realizzare e ancora da negoziare; ma perché per garantire una futura stabilità andranno affrontati alla radice i nodi alla base di un conflitto che dura da almeno 77 anni. Il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa lo ha detto più volte e lo ha ribadito ancora ieri: «La fine della guerra non è la fine del conflitto».In questo momento delicato c'è da temere soprattutto qualche azione di sabotaggio da parte di elementi o fazioni che nell'uno e nell'altro campo si oppongono agli accordi. Purtroppo in Medio Oriente accade spesso che quando si avvicinano degli accordi di pace ci sia chi provi a far saltare tutto con qualche gesto clamoroso. Anche il massacro del 7 ottobre 2023 rientra in questa fattispecie, visto che è accaduto proprio mentre si attendeva la firma degli Accordi di Abramo tra Israele e Arabia Saudita, da allora rimasti congelati. E risalendo più indietro, ricordiamo nel 1995 l'assassinio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin ad opera di un colono che lo considerava un traditore per aver firmato gli accordi di Oslo con il leader palestinese Yasser Arafat.L'accordo firmato il 9 ottobre, inoltre, mette in una posizione difficile soprattutto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha dovuto rinunciare al piano di sgombero di Gaza dalla presenza palestinese e all'annessione della Cisgiordania (obiettivi che sono stati via via esplicitati durante la guerra), anche se la situazione di quelle che gli israeliani chiamano Giudea e Samaria è ancora tutta da definire in base al Piano Trump. E per poter arrivare a un accordo ha dovuto riconoscere Hamas come legittima controparte. Per cui sarà difficile immaginare una tranquilla uscita di scena del gruppo terroristico come prevederebbe il Piano Trump.Piuttosto l'accordo dimostra il grave errore di Netanyahu che ha preteso di eliminare Hamas soltanto con la forza delle armi, e infatti in due anni di bombardamenti a tappeto non ci è riuscito. Trump ha invece capito che l'azione armata doveva essere accompagnata da una vigorosa azione diplomatica tesa a convincere i Paesi sponsor di Hamas a ritirare concretamente il loro appoggio. Ed è stata questa la chiave del successo vista, ad esempio, la fattiva cooperazione del Qatar nella mediazione. Ed è significativo che ieri sera anche l'Iran abbia espresso soddisfazione per l'accordo raggiunto, secondo quanto riferito da Trump: «L'Iran vuole lavorare per la pace», ha detto, e «lavoreremo con l'Iran».Scopriremo nel tempo la contropartita di questo ampio sostegno diplomatico, ma il fatto è che una soluzione si trova soltanto se ciascuno degli attori vede soddisfatto qualche suo interesse.I passi necessari per il futuro esigono però leadership diverse nei due campi: una pace vera non sarà mai possibile se non si arriva al riconoscimento reciproco della legittimità di abitare questa terra. È questo il punto chiave prima di poter pensare a qualsiasi assetto istituzionale: avere due Stati che perseguono l'annientamento reciproco non cambierebbe in meglio la storia. Ma proprio questa prospettiva esige un cambiamento di leadership da ambo le parti. Netanyahu, con il suo governo di estremisti, non è più credibile; e ancor meno lo è una formazione terroristica come Hamas, a prescindere da chi la guiderà.Per quanto si può prevedere ora, almeno sulla carta un cambiamento sarà più facile in Israele, dove le elezioni potrebbero far emergere una guida politica convinta della necessità di un vero accordo di pace e di una convivenza. Molto più complicato il discorso per i palestinesi: se anche Hamas - e con esso la galassia delle altre formazioni terroristiche - venisse cancellato da Gaza, e considerata la pessima considerazione dell'Autorità Nazionale, chi potrebbe rappresentare il popolo palestinese? Un governo internazionale con “tecnici” locali, come quello prefigurato dal Piano Trump, può essere soltanto una soluzione temporanea; e d'altra parte la recente esperienza di Iraq e Afghanistan dimostra che i governi guidati da personalità locali ma imposti dall'estero non hanno speranze di sopravvivere.Vedremo se questi accordi provocheranno anche quei cambiamenti necessari a rafforzarli e renderli stabili, ora non si perda la consapevolezza che il lavoro per arrivare alla pace è appena iniziato.Nota di BastaBugie: Eugenio Capozzi nell'articolo seguente dal titolo "Pace attraverso la forza, la strategia vincente di Trump" spiega che la tregua tra Israele e Hamas dimostra tre verità. Cioè: il totale isolamento di Hamas, i disastri di Obama e Biden, l'irrilevanza di Onu e Unione Europea.Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'11 ottobre 2025:L'accordo per la tregua a Gaza negoziato da Donald Trump è il punto d'inizio di un processo di pace effettiva ancora in gran parte da costruire, e come tale è una creatura fragile, soggetta a molte possibili variabili. Tuttavia, già oggi chiunque voglia giudicare gli avvenimenti senza pregiudizi dovrebbe riconoscere che, per il suo contenuto e per il metodo con il quale esso è stato costruito, esso rappresenta una novità storica molto rilevante, che potrebbe innescare cambiamenti epocali nell'incancrenita questione mediorientale.1) TOTALE ISOLAMENTO DI HAMASInnanzitutto, nel momento del sollievo per il cessate il fuoco e della speranza di una fine stabile delle ostilità a Gaza e in Israele, va ricordato che l'accettazione da parte di Hamas di un accordo che parta dalla restituzione di tutti gli ostaggi israeliani vivi o morti (obiettivo primario delle operazioni belliche di Gerusalemme) costituisce essenzialmente il frutto del totale isolamento in cui l'organizzazione integralista che domina col terrore nella Striscia si è venuta a trovare, dopo che le truppe israeliane l'hanno decimata, braccando i suoi ultimi drappelli nei loro bunker, e dopo che in due anni tutti i suoi principali sostenitori o fiancheggiatori o sono stati ridotti in condizioni di non nuocere dalla pressione militare di Israele e degli Stati Uniti (come l'Iran e Hezbollah), o sono stati avvolti dalla grande rete diplomatica messa in piedi dal presidente americano (come il Qatar e la Turchia).Una rete diplomatica che ha condotto al risultato, due anni fa assolutamente imprevedibile, di un corale consenso dei Paesi arabi sunniti e di molti grandi Paesi islamici (oltre che, non dimentichiamolo, della Russia e, più discretamente, della Cina) su un piano di pace che prevede il disarmo e l'esilio per Hamas. E che, in continuità con l'intuizione decisiva degli "Accordi di Abramo" del 2020 tra Israele e alcuni Paesi arabi sunniti, potrebbe sfociare - se altre destabilizzazioni integraliste non si frapporranno - in un ampliamento dell'area di pacificazione fino a un generale accordo di coesistenza e collaborazione tra Israele e il mondo musulmano nel suo complesso (di cui si intravvedono i primi, confortanti segni con il plauso all'accordo da parte non solo della Turchia, ma di Pakistan e Indonesia, e persino con il timido "buon viso a cattivo gioco" proveniente da Teheran).La tregua insomma è stata resa possibile (e la pace, se ci sarà, sarà resa possibile) unicamente dalla congiunzione tra uso deciso della forza militare e pressione diplomatica resa credibile da quella deterrenza. È esattamente il modello della "pace attraverso la forza" che Trump dichiara essere la sua dottrina di politica estera.2) I DISASTRI DI OBAMA E BIDENLa seconda considerazione da fare, direttamente conseguente la prima, è che il successo ottenuto dalla linea di Trump fa risaltare, per contrasto, i disastrosi esiti dell'azione, sui temi mediorientali, delle precedenti amministrazioni Dem di Barack Obama e poi di Joe Biden. Entrambe avevano scelto una linea molto simile: invece di isolare il polo destabilizzatore dell'Iran e dei suoi proxy, avevano gettato ponti di dialogo verso il regime degli ayatollah e mostrato freddezza verso Israele e l'Arabia Saudita, leader del fronte sunnita filo-occidentale. Obama, poi, aveva addirittura favorito, con l'appoggio alle cosiddette "primavere arabe", l'emergere delle forze fondamentaliste legate alla Fratellanza Musulmana, e persino dell'Isis.Il risultato era stato un'ondata di conflitti, precarietà e disgregazione in tutta l'area, su cui le forze islamiste che puntavano ad esasperare la resa dei conti con Israele avevano prosperato. Con Trump il vento è cambiato decisamente, e ora se ne vedono i frutti in termini di pace e stabilizzazi

13m 54s  ·  Oct 14, 2025

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